Inglese del
Leicestershire, James Maddock ha scelto di trasferirsi a vivere negli States esattamente come fece
quasi cinquant’anni fa Graham Nash. Ma mentre Nash andò in California a
incontrare l’amore (Joni Mitchell), Maddock è fuggito da casa per curare le
ferite di una storia che gli aveva spezzato il cuore. Ad ogni modo, e con le
dovute proporzioni, per entrambi è stato l’inizio di un percorso musicale ricco
di successo e di soddisfazioni. Maddock ora è di casa a New York, città che
adora, che racconta in bellissime canzoni (andatevi a recuperare l’ottimo Sunrise
On Avenue C. del 2010), e che gli ha rubato non solo l’anima, ma anche i modi e
i costumi, tanto che oggi il cantautore inglese può essere considerato newyorkese
a tutti gli effetti. Non quindi lo
spaesato Englishman In New York di cui cantava Sting(“non bevo caffè, prendo
the, mia cara”), ma un artista che si è tanto appassionato alla cultura
musicale americana da essere diventato, come capita spesso ai neofiti, più
americano degli americani, più realista del re. Certo, ogni tanto le radici
affiorano, e in Another Life ci sono un paio di brani, That’s Heavy e Making
Memories, in cui riemerge un retrogusto celtico per le atmosfere brumose di
certe lande perse nel cuore dellInghilterra. Ma sono solo attimi, e come per i
lavori precedenti anche quest’ultimo disco ci riporta alle sonorità tipiche del
cantautorato a stelle e strisce, quello che parte dal Greenwich Village e dal
sogno della Grande Mela, per attraversare poi gli States in un coast to coast
raccontato con la prosa appassionata dell’ultimo dei romantici.
Another Life è
sicuramente il disco più acustico di Maddock, l’elettricità è centellinata (I’ve
Been There Too), le canzoni virano definitivamente verso una ballata agrodolce
che sembra essere nata dal sodalizio artistico fra i Counting Crows e il Willie
Nile più morbido. Dal canto suo Maddock ci mette alcune canzoni mozzafiato
(Arizona Girl, Another Life), malinconiche riflessioni sulla vita (If I Had A
Son) e panoramiche a volo d’uccello, leggerissime e al contempo intrise di mestizia
(What Have I Done). La morbida cartavetrata della voce di James (ossimoro che
spero condividerete ascoltando il disco) e una cura artigianale nei suoni, sono
la confezione di un filotto di canzoni suonate in punta di plettro e rivolte a
un pubblico che ama i toni dimessi e colloquiali. Un modo di fare musica che si
è un po’ perso, fagocitato da un mondo (anche musicale) che viaggia a cento all’ora
e che anche quando si esprime in acustico preferisce il mainstream di artisti
con un hype superiore ma un talento decisamente modesto. Pertanto, se amate
aggirarvi in questi territori, provate Maddock, ve ne innamorerete perdutamente.
VOTO : 7,5
Blackswan, sabato 14/09/2013
5 commenti:
grande artista davvero anche in versione live.
un peccato che tu non sia riuscito a vederlo a Pusiano nello scorso mese di luglio.
@ Euterpe : Dal momento che sono anche Buscaderiano nell'anima, mi sono mangiato le mani. Ho letto ovunque delle sue splendide performance live. Sarà per il prossimo anno...
Un tipo di musica che si è perso, da piccoli locali, non da stadio..
Non è che vorrei un'altra vita, ne vorrei una parallela, si può?
:)
@ Mr. Hyde : esatto, perfetta per un contesto come il pub.
@ Baol: Un'altra ? Io ne ho già fin sopra i capelli di questa...
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