Ci sono intere pagine di storia in questo full lenght
dei fratelli Alvin. In primo luogo perchè Dave e Phil, lo dico a uso e consumo
di quanti fossero un pò a secco di rock a stelle e strisce, altri non sono
che The Blasters, il mitico gruppo californiano che, all'inizio degli anni
'80, in piena epoca punk, lanciarono il revival di quel suono tipico
americano che prendeva le mosse dai ruggenti fifties, dal rock'n'roll e dal rockabilly
dei padri. Suoni arcaici, certo, ma uno stile personalissimo occhieggiante
all'irruenza del punk rock e intriso di uno spirito che potremmo definire
neo-realista per contenuti testuali e approccio proletario. Common Ground,
inoltre, può essere considerato una sorta di svolta storica nella carriera
dei due, se si considera che i fratelli Alvin, i cui rapporti non sono mai
stati improntati all'idillio, non suonavano insieme in studio da quasi
trent'anni. La molla è scattata quando Phil, lo scorso anno, ha avuto un malore
che quasi lo portava all'altro mondo. Allora, Dave, ha pensato che fosse il
caso di tornare a suonare con il fratello e di fare,
soprattutto, qualcosa che avesse una matrice comune, che li riavvicinasse
dopo tanti anni passati a guardarsi in cagnesco. Da qui, l'idea di andare a
ripescare musica nella discografia del padre, quella con cui i due giovani
Alvin sono cresciuti, formando il proprio stile e i propri gusti. E siccome
papà Alvin era un patito del blues (ospite fisso nella casa paterna era un
certo Big Joe Turner), la scelta è caduta su un artista le cui canzoni sono
stato nutrimento per la crescita dei due Blasters, e cioè Big Bill
Broonzy. Anello di congiunzione fra il country blues e il blues urbano, Bill
Broonzy è considerato uno dei più grandi bluesman del ventesimo secolo, uno dei
primi, soprattutto, a utilizzare strumenti elettrici e a
influenzare la scena di Chicago, tanto da essere stato considerato
imprescindibile fonte di ispirazione anche dal grande Muddy Waters. Common
Ground si compone quindi di dodici canzoni tutte a firma Broonzy, suonate in
uno stile maledettamente retrò dai due fratelloni. Suoni geneticamente
vintage, quindi, tra Blasters (lo spirito indomito del gruppo sembra
riemergere anche in questo disco), blues classico, blues chicagoano, folk,
ragtime e spruzzatine jazz: il tutto impreziosito da una gioia di
suonare e da un'allegrezza interpretativa che rappresenta il vero segno
distintivo dell'operazione. Come fotografie in bianco e nero di un passato che
evoca però un caleidoscopio di colori e ricordi felici. Esecuzioni in punta di
plettro, la voce bluesy e passionale di Phil, due chitarre gloriose, arcaiche,
scintillanti. Già un piccolo classico per gli amanti del roots.
VOTO: 8,5
Blackswan, martedì 17/06/2014
2 commenti:
Dato l'amore incondizionato per
i Blasters, non potevo perderlo.
Condivido in pieno il tuo entusiasmo
e riaccendo la speranza di una
reunion ufficiale fuori tempo
massimo :)
@ Monty: disco favoloso, più l'ascolto più mi piace. C'è una gioia profonda nel ritrovarsi che intride ogni nota. Discone !
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