Tanta nostalgia, ovviamente, ma non solo. Anche molta curiosità. Ascoltare questo live dei Tears For Fears è decisamente un bel balzo indietro nel tempo, ma è anche un modo per riascoltarli dal vivo su supporto dopo quasi vent’anni (l’ultima prova live, uscita in dvd, Secret World, risale al 2005) e un modo per capire lo stato di forma di una band che si è ritrovata, dopo uno iato lunghissimo, pubblicando un disco meraviglioso come The Tipping Point (2022).
Non solo. Songs For A Nervous Planet
contiene anche quattro inediti che permettono di saggiare il livello
d’ispirazione del duo, che ha ritrovato le giuste motivazioni e,
soprattutto, la voglia di stare insieme senza scannarsi. Ad aprire le
danze ci sono proprio le nuove canzoni, la prima delle quali, "Say
Goodbye To Mum And Dad" è un gradino sotto, per qualità, al materiale
contenuto in The Tipping Point: una brano leggerissimo, solare,
la cui melodia, però, risulta un po’ troppo banalotta. Molto meglio
"The Girl That I Called Home", il cui inizio fa pensare a "San Jacinto"
di Peter Gabriel, e che è attraversata da un vellutato languore
nostalgico, in linea con le migliori melodie create dal duo. Buona anche
"Emily Said", scintillante bigiotteria beatlesiana, apprezzabile per i
lussureggianti arrangiamenti, e cartina di tornasole su quella che è da
sempre una delle principali fonti d’ispirazione dei Tears For Fears.
Chiude il filotto di brani originali "Astronaut", una ballata delicata e
lineare, che conquista per la dolce melodia, pur senza stupire più di
tanto.
Da questo momento in poi inizia il live (tra l’altro il primo live ufficiale del gruppo pubblicato su cd e vinile), tratto da uno spettacolo tenutosi nel luglio 2023 a Franklin, nel Tennessee. Il primo disco ci sono ben quattro canzoni tratte da The Tipping Point ("No Small Thing", "Tipping Point", "Break The Man", "Long Long Time"), intervallate dalla leggerezza melodica di "Secret World" (tratta dal penultimo Everybody Loves An Happy Ending) e da due pezzi da novanta come "Everybody Wants To Rule The World" e "Sowing The Seeds Of Love", la canzone più beatlesiana e politica del duo.
E’
da subito evidente il ritrovato affiatamento tra Orzabal e Smith, la
classe e l’eleganza espressiva, il mestiere e la tecnica di una backing
band sincronizzata al secondo.
Il secondo disco, se si eccettuano "My Demons" e la struggente "River Of Mercy" (entrambe prese dall’ultimo lavoro in studio), è un vero e proprio best of della band, che inanella un filotto di grandi classici per la gioia dei fan della prima ora. E inevitabilmente una lacrimuccia di nostalgia riga il viso non appena parte "Mad World", fedelissima all’originale, così come la superba "Woman In Chains" (con Lauren Evans alla voce).
Altri brani, invece, sono arrangiati diversamente: "Suffer The Children" è eseguita per pianoforte e voce, è lenta e struggente, "Badman’s Song", straordinario esempio di come pop e blues possono convivere con risultati eccellenti, è allungata di un paio di minuti rispetto alla versione di "Seeds Of Love", "Change" subisce un maquillage più dance grazie a suoni moderni (ma un po’ tamarri) così come l’immensa "Shout", resa leggermente più cupa rispetto all’originale. In scaletta, anche "Pale Shelter" (sempre palpitante), "Break It Down Again" e "Head Over Heels", qui proposta con la coda "Broken", per un live non solo tecnicamente impeccabile, ma decisamente appassionante per chi ha amato la band fin dal lontano esordio, The Hurting, datato 1983.
Unica pecca del disco, ma è un’opinione del tutto personale, è il lavoro in fase di post produzione che ha quasi del tutto azzerato l’interazione con il pubblico: mancano le urla di gioia, manca il singalong ("Shout" inizia con il ritornello cantato in coro dalla gente, ma bisogna davvero aguzzare l’udito per accorgersene), insomma, manca la festa. Peccato.
Voto: 7,5
Genere: Live, Pop, Rock
Blackswan, venerdì 03/01/2025